Manifesto Acr 2022 23Da soli si va veloci, ma insieme si va lontano. (Proverbio africano).

Lo sport, quindi, è fondato su un presupposto iniziale: la collaborazione e l’accordo sulle regole costitutive. Ci sono varie modalità con cui i partecipanti cooperano per far sì che un evento sportivo si realizzi. Infatti, la collaborazione è precedente ed è la base della competizione. In questo senso, lo sport è l’opposto della guerra, che si scatena quando le persone credono che la cooperazione non sia più possibile e quando viene a mancare l’accordo sulle regole fondamentali. Nello sport, l’avversario è un partecipante al contesto codificato dalle regole e non un nemico da annientare. Infatti, è la presenza di un avversario che fa emergere il meglio di un atleta e per questo l’esperienza può essere piacevole e avvincente. 

Nell’anno della compagnia in cui il cammino dell’ACR ci invita a riflettere sul mistero della Chiesa, dove ognuno è chiamato a scoprire un carisma particolare, l’ambientazione che aiuta i ragazzi in questo percorso è quella degli sport di squadra.

Le discipline che rientrano in questa grande categoria, infatti, sono “palestra” di vita cristiana. In una squadra ogni componente non gareggia per sé stesso, utilizzando il suo talento senza pensare agli altri. Se vuole disputare una bella gara, una bella partita, e perché no anche vincere, deve pensare alla squadra, deve adattare il suo passo, il suo gioco a quello dei compagni e con loro dev’esserci sintonia, bisogna capirsi al volo. In una squadra è importante il lavoro di tutti: dal fuoriclasse che tutti ricordano perché trascina alla vittoria, al gregario che si mette meno in mostra ma senza il quale non si giungerebbe al traguardo. Dall’allenatore che osserva e guida, al preparatore atletico di cui a volte non si conosce nemmeno il nome. Eppure è grazie al contributo di tutti che i giocatori arrivano nella miglior condizione fisica e possono così disputare la gara. E’ necessario allenarsi, faticare, rispettare una dieta, darsi una regola e dare il meglio di sé per cercare di migliorarsi e non perdere il passo, il fiato e la destrezza acquisiti, proprio come chi si allena nella preghiera, medita e discerne, per mantenere vivo e forte il suo percorso di fede. L’essere squadra vuol dire anche riconoscersi in una “maglia”, in certi valori, in certi ideali, ed è così che anche se non si vince si può comunque essere soddisfatti e contenti, se si sa di aver giocato bene, disputato una gara leale, nel pieno rispetto delle regole e dell’avversario. Quest’ultimo infatti non è un nemico, ma un compagno di viaggio durante la competizione, come suggerisce la parola stessa, dal latino “cum” (con, insieme) e “petere” (andare verso, fare con forza), l’avversario è colui con cui andiamo insieme verso la stessa meta, con cui ci sforziamo insieme per dare il meglio di noi.

Nell’anno dell’iniziazione al mistero della Chiesa vogliamo allora accompagnare i bambini e i ragazzi a rispondere alla loro domanda di prossimità/accoglienza. «Vieni con me?» è la domanda che i bambini rivolgono agli adulti quando avvertono il bisogno di qualcuno che stia al loro fianco, che li rassicuri e dia loro la giusta dose di coraggio. È questa l’età in cui si ha bisogno di tempo per conoscere nuove persone, per abituarsi a nuovi ambienti o lanciarsi in nuove esperienze. È un interrogativo che riconosce la presenza indispensabile degli adulti nel percorso di crescita dei piccoli, che chiedono di essere accompagnati, ad ogni piccolo passo, per avventurarsi laddove non si sentono completamente a proprio agio e acquisire così sicurezza e fiducia in sé stessi. «Vieni con me?» diventa, per i ragazzi, un modo per sancire un’amicizia: “Se vieni con me, se ti fidi di me, saremo veri amici!”. «Vieni con me?» esprime il desiderio di reciprocità e di relazione: “Ho bisogno che tu venga con me, per diventare grandi insieme; ho bisogno di sapere che tu hai voglia di starmi accanto”. Inoltre, «Vieni con me!» suona come l’invito che ogni bambino e ragazzo rivolge all’altro quando vuole condividere qualcosa di bello, un momento speciale. Solo insieme la gioia si moltiplica ed è insieme che si riscopre la propria vocazione ad essere discepoli-missionari, figli e fratelli di una stessa comunità unita dall’amore per Gesù Cristo.

L’icona biblica che supporta questo percorso è il Vangelo di Matteo, capitolo 28 versetti 16-20. Nel Credo, subito dopo aver professato la fede nello Spirito Santo, diciamo: «Credo la

Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». C’è un profondo legame tra queste due realtà di fede: è lo Spirito Santo, infatti, che dà vita alla Chiesa, guida i suoi passi. Senza la presenza e l’azione incessante dello Spirito Santo, la Chiesa non potrebbe vivere e non potrebbe realizzare che Gesù risorto le ha affidato di andare e fare discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,18). Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione. L’Apostolo Paolo esclamava: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16). Ognuno deve essere evangelizzatore, soprattutto con la vita! Paolo VI sottolineava che «evangelizzare…è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione» (EN, 14). Per evangelizzare, allora, è necessario ancora una volta aprirsi all’orizzonte dello Spirito di Dio, senza avere timore di che cosa ci chieda e dove ci guidi. Affidiamoci a Lui! Lui ci renderà capaci di vivere e testimoniare la nostra fede, e illuminerà il cuore di chi incontriamo a tal punto da fargli dire: Ragazzi, che squadra!